Trascorrere giorni, mesi, anni, ripetendo i gesti della cura, cercando di mantenere la barra dritta, tentando di prolungare lo sguardo fino all'orizzonte e averne paura, dell'orizzonte.
Intenerirsi, misurare e contenere la rabbia, cercare la forza, sempre, e talvolta non trovarla.
Saggiare la miseria della vecchiaia, inseguire la propria e altrui dignità, scrutare i movimenti trovando ogni minuto un nuovo, piccolo cedimento nei gesti quotidiani (la mattina so lavarmi i denti, la sera non lo ricordo più; un giorno mangio da sola, il giorno dopo non riesco; un istante piego le braccia, il minuto dopo non so farlo...). Tenere sempre a mente la persona che era, la sua intelligenza, la sua sensibilità, la sua bellezza, la sua dolcezza, la sua fede e poi invece cercare di non pensarci troppo per non avvertire l'orribile distanza tra ciò che è stato e ciò che è. Tentare di alzare le spalle e scoprirne i muscoli appesantiti e intrecciati, chiusi e doloranti nella tensione e nella fatica dei giorni.
Rinominare continuamente gli obiettivi, sottraendo, diminuendo, un po' alla volta, fino al timore di svegliarsi un giorno e non scorgerne. Questo significa prendersi cura di chi non può più farlo autonomamente. Perciò non venitemi a dire che mi capite perchè no, non potete capire se non l'avete vissuto; non sapete, e spero non sappiate mai.
Io intanto, per parte mia, cerco di tenermi a galla e non affondare, di gioire se la vita me ne dà la possibilità anche quando, apparentemente, non ce ne sarebbero i motivi. Cerco di tenere la testa alta, con l'orgoglio di una donna. Buon 8 marzo.
grazie
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