In questa casa che è ancora/non è più la mia, denudata dei suoi riferimenti, conforti e coordinate, in questa città che sarà sempre la mia, io sottraggo, sottraggo quanto più posso, quanto i ricordi consentono, quanto basta per mantenere stabile il cuore. E tuttavia soffro.
Anch'io, per certi infinitesimi versi, sono migrante. Lascio molto. Porto tantissimo. Il lavoro, la cittadinanza, i diritti, lo status sociale. E purtuttavia avverto un minuscolo tracollo di identità, una frana piccola e gentile che include interrogativi e domande impossibili: cosa sarò/à? E mi vergogno e mi commuovo davanti a sofferenze imparagonabili, a vite che non sono la mia, che si muovono e resistono e sperano.
Nessun commento:
Posta un commento