la malattia di mia madre è arrivata senza preavviso, anche se i suoi
segni premonitori si erano affacciati spesso e confusi con quelli,
generici, della vecchiaia.
e poco a poco lei ed io con lei, abbiamo
iniziato ad essere invisibili. un pezzetto alla volta, piano piano.
finchè l'invisibilità ci ha avvolte, come un mantello di trasparente
consapevolezza.
noi gli altri li vediamo. ma gli altri noi non ci vedono.
forse il mantello l'ho preso io e lentamente l'ho drappeggiato sulle nostre spalle, per proteggerci.
per
proteggere lei, che non era più lei. per proteggerla dalla compassione
della gente, dalle frasi che pur essendo di circostanza non per questo
sono meno vere (una donna così intelligente, una donna così attiva, una
donna così dolce!), ma io, io non permettevo loro di pronunciarle. non
per mia madre, no.
per proteggere me, che non potevo perdermi, perchè dovevo accudire lei.
alle
volte la malattia fa ridere. è buffa, alle volte, oppure devo trovarci
qualcosa di buffo per non essere travolta dall'orrore, non so. ma a
volte rido, da sola, o con lei. a volte.
perlopiù cerco di mantenere una qualche paradossale normalità della vita.
vado a lavorare, leggo, scrivo, parlo con i colleghi.
all'inizio
cercavo di comunicare qualcosa, di parlare della malattia. ma mi sono
presto resa conto che la normalità della vita, negli altri, in coloro
che la vivono davvero, una vita normale, è più forte di ogni altra cosa e
non capisce. non fino in fondo, almeno.
così mi sono avviluppata nel mantello. non potete vedermi, non esisto.
oppure
esisto solo perchè caparbiamente resisto, perchè sono testardamente
concentrata sulla sopravvivenza, sulla ricerca di continui spazi di aria
e libertà nella mia testa, sono l'equilibrista sul filo, non posso
cadere.
mia madre ed io ci nascondiamo.
perchè non vogliamo farci vedere ma anche perchè nessuno vuole davvero vederci.
invisibili.
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